sabato 12 luglio 2003

Bolaño, triste y final

Francesca Lazzarato - Il manifesto - 12 luglio 2003


Bolaño, triste y final


E' morto ieri a Barcellona Roberto Bolaño, scrittore e poeta cileno, tra i talenti più originali e innovativi della letteratura latinoamericana contemporanea. Aveva solo 50 anni. I suoi ultimi romanzi, tradotti da Sellerio, «Notturno cileno» e «Detective selvaggi»
Pochi mesi fa, in occasione dell'uscita di un saggio di Enrique Vila-Matas sul «silenzio letterario», il solito giornalista a caccia di opinioni chiese a Roberto Bolaño cosa mai avrebbe potuto indurlo a smettere di scrivere per sempre. E lui rispose: «Smetterei solo se stessi morendo e fossi certo dell'inutilità di tutto questo». Forse non poteva saperlo, ma mentiva: fino a pochi giorni prima di una morte quasi annunciata, infatti, è rimasto tenacemente aggrappato alla scrittura, come racconta il suo editor e amico Jorge Herralde della Editorial Anagrama, nelle cui mani il più grande narratore cileno del postboom ha consegnato un libro di racconti appena terminato, El gaucho insufrible, da pubblicare il prossimo autunno. E, sempre secondo Herralde, ad accompagnare Bolano nelle ultime settimane di vita è stato il timore di lasciare incompiuto 2666, l'obra maestra cui lavorava da tempo e che andava acquistando dimensioni smisurate: oltre mille pagine divise in cinque parti (quattro delle quali già scritte), ciascuna indipendente dalle altre ma ad esse intimamente legata, come in un puzzle letterario di perfetta fattura. Di scrittura e per la scrittura, del resto, Roberto Bolañno viveva già a partire dai quindici anni, quando, arrivato in Messico da Santiago del Cile, dove era nato nel 1953, aveva deciso di lasciare la scuola e di non tornarci mai più, scambiandola con infinite letture adolescenziali e con la frequentazione assidua di un ambiente intellettuale libero e non conformista. E proprio in Messico aveva cominciato a pubblicare ancora giovanissimo su El Nacional, fondando insieme all'amico Mario Santiago e ad altri poeti un gruppo di avanguardia chiamato «infrarealista».

Una passione mai spenta, questa per la poesia, che lo ha accompagnato nei suoi difficili vagabondaggi da esule per l'Europa (Francia, Svezia e infine Blanes, un paesetto nei dintorni di Barcellona dove ha messo radici sul finire degli anni Settanta) e che, nonostante abbia dato frutti letterariamente marginali, è stata per lui un vero e proprio laboratorio, il terreno in cui affonda le radici la sua prosa mirabile, dispiegata in una dozzina di volumi tra romanzi e antologie di racconti, alcuni dei quali noti anche ai lettori italiani, come La letteratura nazista in America, Stella distante, Chiamate telefoniche (tutti tradotti e pubblicati dall'editore Sellerio), Amuleto (edito da Mondadori) , il recentissimo I detective selvaggi ( forse il suo libro più importante e complesso, anch'esso pubblicato da Sellerio), e altri che verranno presto tradotti come il fluviale Nocturno de Chile, composto da un unico paragrafo lungo quanto l'intero romanzo, o gli eccezionali racconti riuniti in Putas asesinas.

Pigro per vocazione ma capace di sedere per ore davanti al computer a macinare migliaia di pagine per poi scartarle quasi tutte, in poco meno di dieci anni Roberto Bolaño ha costruito un mondo secondario fatto di ricordi e immagini giustapposti e intrecciati in cui è facile incontrare il suo doppio letterario: Arturo Belano, poeta e detective impegnato non tanto nel cercare una soluzione ai misteri e ai crimini squisitamente letterari che il destino mette sulla sua strada, quanto nel perseguire la propria pura e semplice sparizione nell'immensità di uno spazio geografico senza limiti. Dietro questi viaggi eterni, queste fughe interminabili nello spazio e nel tempo c'è sempre una proposta spiazzante, un gioco, qualcosa che dice: «avvicinati allo specchio e guarda». Ma soprattutto c'è l'esilio inteso e praticato come arte da una schiera di scrittori latinoamericani ormai impossibilitati a qualsiasi ritorno perché sempre e ovunque «stranieri». Così è per Bolano, per il quale l'unico vero luogo è la memoria, l'unica patria possibile la scrittura, l'unica religione praticabile quella di una feroce libertà individuale che lo universalizza e lo trasforma in un autore «globale» e internazionale almeno quanto Cortazar, la cui opera l'autore cileno ha profondamente metabolizzato. In polemica con gli scrittori cileni contemporanei , spietato critico di miti nazionali come Paz o Neruda, forse è proprio a Cortazar e alla sua profonda, sostanziale «estraneità» che Roberto Bolaño può, fatte le debite proporzioni, essere accostato.

Certo è che, ingovernabile e inclassificabile, dotato di una capacità di fabulazione fuori del comune, diretto e concreto ma provvisto di una immaginazione sconfinata, convinto che compito dello scrittore sia «demolire ogni forma di rispettabilità» e sovvertire ogni punto di vista, Roberto Bolaño lascia dietro di sé un'opera di assoluta originalità, segnata da un'estetica radicale in cui si rintracciano echi rimbaudiani e dadaisti, da un'uso del linguaggio assolutamente prodigioso e da una rara capacità di costruire complesse architetture narrative.

il manifesto 12 luglio 2003

Francesca Lazzarato





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