martedì 15 settembre 2009

Il globo, la mappa, le metafore (v / vii)

Franco Farinelli


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Il globo, la mappa, le metafore

«è come se una gigantesca matita gli si conficcasse sul cranio e descrivesse a sua volta una carta sul cranio di Achab».
Ed è esattamente l'accecamento di Polifemo.

Borges prende spunto da qui, o forse anche da un episodio che Stravinskij narra nella sua autobiografia, quando racconta di essere stato fermato alla frontiera tra Italia e Svizzera. Perquisendo i bagagli, i gendarmi della frontiera trovano dei disegni fatti da Picasso, e scambiano uno di questi per una carta militare. Stravinskij rischiò la prigione.

Achab, come si diceva, è la carta, e lo si dice espressamente in molti punti. Per esempio quando deve rispondere all'accusa di blasfemia che Starbuck gli ha appena rivolto, risponde:
«Io devo fare a pezzi ciò che mi ha fatto a pezzi».
Achab è la carta, e un pezzo del mondo è stato fatto a pezzi; Melville lo chiama il Gran Khan del tavolato, o, se volete, il re della calamita piana. Detto per inciso, sarebbe molto interessante uno studio di quanto la cartografia incida sulla letteratura americana, sarebbe un luogo privilegiato di osservazione e di indagine. E del resto Melville aveva studiato per due anni (dal '37 al '39) la cartografia.

Torniamo a Moby Dick. Achab, giustificando ciò che a Starbuck sembra una blasfemia, dice non solo di essere stato fatto a pezzi, ma parla anche di un velario bianco, una sorta di sudario:
«Io sento che dietro a questo velario bianco preme qualcosa; a volte ho l'impressione che dietro non ci sia nulla, ma, altre volte, io sento che dietro vi è una ragione, ma questo sudario bianco è ragionevole. Io non posso colpire se non attraverso, sfondando questo sudario per cercar la ragione che è al di là. Per questo dò la caccia».
Potrei continuare a lungo ma mi interessa, a questo punto, passare a un'altra straordinaria rappresentazione dell'impossibilità di racchiudere la modernità all'interno dello spazio, dell'estensione euclidea. Pure essa trova una privilegiata modalità di espressione nella letteratura; voglio prendere in esame un romanzo che, a mio avviso, deve molto a Melville, molto più di quanto i critici hanno finora cercato di rilevare: Cuore di tenebra di Conrad.

Nei due testi, infatti, alcune espressioni sono identiche. Inoltre anche Kurtz, il protagonista, non l'io narrante, di Cuore di tenebra, è qualcuno la cui lucidità dell'azione strumentale fa a pugni con la follia dell'intento, esattamente come Achab. Poi anche Kurtz, come Achab, finisce per assomigliare all'oggetto, finisce per essere influenzato dalla cosa cui sta dando la caccia. C'è un passaggio in cui Conrad scrive:
«Quella terra selvaggia lo aveva sfiorato e il cranio di Kurtz era diventato una palla liscia di biliardo».
esattamente come d'avorio era la gamba di Achab. E si potrebbe continuare in questo gioco, la situazione è esattamente la stessa, se non che Conrad - che viene cronologicamente dopo Melville, siamo infatti proprio all'inizio del Novecento, la pubblicazione di Cuore di tenebra risale al 1902 - è molto più preciso, e molto più sottile.

In Cuore di tenebra la situazione è chiarissima: c'è uno spazio bianco, come bianca appare Moby Dick, da riempire. E tutto il senso del romanzo di Conrad è che allo sconosciuto, la macchia bianca sulla carta, non si oppone il conosciuto, ma si oppone il nero. Questa macchia bianca, infatti, si riempie di segni, laghi, città, segni cartografici fino a diventare una macchia nera perché, (ecco perché Leibniz non ha ogni ragione), conoscere non significa "poter dire". Allo sconosciuto si oppone non il conosciuto, ma l'indicibile. L'ultima frase che appunto Charlie Marlow, l'io narrante, alla fine riporta è: «Che orrore, che orrore».

Sarebbe veramente suggestivo continuare in questa direzione, ma vale la pena soffermarsi a rilevare che un dopo un anno, quando finalmente appare, si manifesta, Kurz è sdraiato, in posizione orizzontale. A questo punto è chiaro cos'è Kurtz - non solo è la mappa, ma il cuore della mappa; è la scala geografica, la scala metrica lineare, cioè è l'agente che produce lo spazio.

Soffermiamoci su questo confronto. Mentre la follia dice subito:«Io non ho bisogno di descrivermi, mi vedete immediatamente, sono qua», Kurtz, invece, in tutto Cuore di tenebra, si sente, è presente fin dall'inizio ma non appare mai e, quando appare, è steso su una barella portata da quattro indigeni; ha appena la forza di sollevare un braccio macilento. A Kurtz si oppone uno straordinario personaggio che è esattamente l'equivalente della follia. Anch'esso non ha nome, si sa soltanto che è russo - come Conrad, nato nella Polonia russa - e che è il primo ad accogliere il battello su cui arriva Charlie Marlow, l'io narrante, ed è vestito esattamente come la follia di Erasmo. Sembra, cioè, un pagliaccio, un Arlecchino, perché il suo vestito è tutto rattoppato, composto di ritagli multicolori. Fin da lontano dunque si scorge come se fosse appena uscito, dice Conrad, da una banda di pagliacci e quando deve spiegare perché è lì, questo ineffabile personaggio - Conrad lo chiama "favoloso" - dice:

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Golem   1 giugno 2002
© Franco Farinelli

 

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