lunedì 24 maggio 2010

Detective Bolaño - Sulle tracce del selvaggio

Rossana Miranda ,   Il Riformista -  gennaio 2010



TRA PARENTESI. Unl ibro guida per i lettori della stella sudamericana che ha soppiantato la generazione magica di Gabo & co. Note, consigli e suggerimentid isseminati tra articoli per quotidiani, rubriche, saggi e conferenze. Dall'adorazione per Elvis e Gassmana lla passione per Dick e Burroughs. Filo conduttore l'ironica e provocatoria «insofferenza» di uno scrittore già postumo in vita, condannato dalla malattia. Che ancora continua a vincere premi.
Non esiste piacere piü grande di prendere possesso delle segnalazioni, dei consigli e dei suggerimenti letterari del proprio scrittore preferito. Per i cultori di Roberto Bolaño in Italia è arrivata la guida perfetta: Tra parentesi (Adeiphi, 2009), una raccolta di articoli, rubriche, piccoli saggi e conferenze, pubblicati dallo scrittore cileno tra il 1998 e il 2003. La maggior parte sono testi usciti sul quotidiano cileno Las Ultimas Noticias di Cile e lo spagnolo Diario de Girona, scritti durante le brevi pause tra la scrittura di opere letterarie, messe appunto tra parentesi. Soprattutto, in seguito al successo de I detective selvaggi link interno (Sellcrio, 2003), fino alla sua prematura morte nel 2003.

 
L'idea di una rubrica di Bolaño sul giomale Las Ultimas Noticias è nata a luglio del 2000. L'autore definisce il progetto come una rubrica dove potere parlare del poeta sconosciuto della provincia e del piü conosciuto romanziere polacco. Due cose che, in una città come Santiago, suonano come la lingua cinese. Lo scrittore, comuque, aveva già in mente di fare di tutto quel materiale giomalistico un libro-guida per i suoi lettori. Ii materiale è davvero vario. In Tra parentesi ci sono il discorso Autoritratto, il discorso di Caracas che Bolaño pronunciô nell'auditorium del Celarg, in occasione del conferimento del Premio Rómulo Gallegos per I detective selvaggi; altri tre discorsi "insofferenti" come li definisce il critico spagnolo, Ignacio EcheverrIa - che hanno lo stesso tono ironico e provocante dei testi saggistici de Il gaucho insostenibile (Sellerio, 2006). Chiude la raccolta, l'ultima intervista dell' autore link interno, concessa alla rivista Playboy.
Intervistato da Monica Maristain, parla di tutto e di sé con la consueta corrosiva ironia e origrnalità. E nato dislessico, ma non ha avuto alcun trauma serio. Problemi quando giocavo a pallone, sono mancino. Problemi quando mi masturbavo, sono mancino. Problemi quando scrivevo: sono destro. Come vedi, nessun problema importante . Parla dei poeti chavisti come stalinisti, perché volevano fargli votare a scatola chiusa ii premio Romulo Gallegos, si considera uno spartano ma adora vedere i parà cui non si aprono i paracadute, non vuole bere con Isabel Allende, nella sua religione non rilegge mai un suo libro, non idolatra i lettori, considera lecito rubare i libri, perché rispetto alle casseforti «puoi esaminare il loro contenuto prima di commettere il delitto»; considera i libri un ottima cucina per l'anima, adora Elvis e Gassman, ricorda di essere stato povero (« modestamente, sì») e di aver fatto molti lavori, prima di diventare scrittore e, di fatto, un lottatore contro la morte, da quando a 38 ha scoperto di essere mortale, per un problema molto serio al fegato.
La morte? «Una puttana in calore, una cosa da far battere i denti a chiunque». Il Paradiso e l'Inferno forse non esistono dopo la morte, ma sulla terra ci sono, come racconta a Playboy. Il Paradiso è «come Venezia, spero, un posto pieno di italiani e di italiane. Un posto che si consuma e si logora e sa che nulla perdura, nemmeno il paradiso, e che questo in fin dei conti non improta». L'inferno? È come Ciudad Juarez, «che è la nostra maledizione e il nostro specchio, lo specchio inquieto delle nostre frustrazioni e della nostra infame interpretazione della libertà e del desiderio». Nato in Cile e scappato dal regime di Pinochet perché uno dei poliziotti che l'aveva arrestato era un suo compagno di liceo, prima in Messico poi in Spagna, nella vita ha fatto il venditore di bigiotteria in Europa, il guardiano notturno di un camping in Catalogna, e al posto dello scrittore voleva fare «l'investigatore della squadra omicidi, uno che riesce a tornare da solo, di notte, sulla scena del delitto, e a non aver paura dei fantasmi. Forse così sì che sarei impazzito, ma questo, se si è poliziotti, si risolve con uno sparo in bocca».
Più che un libro di saggistica, per quanto prezioso e ben riuscito, Tra parentesi è soprattutto una lunga conversazione con l'autore di 2666 link interno (pubblicato in due volumi e poi in un solo volume da Adelphi, 2009). Un fruttifero dialogo sulla letteratura, i libri, l'ispirazione, il mondo editoriale, i premi letterari, le città e la poesia (si considera più poeta che prosatore perché, dice, arrossisce di meno se legge un suo libro in versi). Emerge, in tutta la sua generosità - come invadente è la montatura dei suoi occhiali -la visione dell'uomo, lo sguardo che lo scrittore aveva verso la vita. Sottolineare i passaggi illuminati di questo libro è un esercizio inutile. Si finirebbe per segnare quasi tutto, in tutte le pagine; meglio tenersi ben stretta la propria copia. Non consegnarla a nessuno. Perché, come dicono i sudamericani, esistono due tipi di lettori scemi: quelli che prestano i libri che hanno amato e quelli che li restituiscono.
In Tra parentesi ci sono le impressioni di sui classici della letteratura latinoamericana, sui best seller più recenti, ma anche sui poeti sconosciuti che vagabondano tra Madrid, Barcelona, Santiago de Chile, il DF messicano. Un'acuta e sincera critica letteraria che va da Nicanor Parra, Juan Villoro, Pedro Lemebel (secondo Bolaño il migliore poeta in lingua spagnola, anche se non ha pubblicato poesia), fino a Isabel Allende e Paolo Coelho, passando per Rodolfo Wilcock, Javier Cercas e Enrique Vila-Matas.
In questo contenitore, ci sono tutti quelli che hanno fatto scattare una scintilla, una riflessione o un moto di rabbia nell'esistenza dello scrittore. Ed è così lucido e chiaro nel spiegare e raccontare come interpreta la letteratura, che Tra parentesi sembra quasi una auto-biografia, per capitoli. Il resoconto di un' esistenza travagliata che non conta, per ora, nessuna biografia ufficiale.
La vita come scrittore di Bolaño è iniziata con i premi letterari. Tutti marginali e discreti. Vinceva senza problemi e, anche se si trattava di pochi soldi, spesso dati da uffici culturali provinciali, quei riconoscimenti rappresentarono una vera svolta. Dopo che si era guadagnato da vivere come lavapiatti, cameriere, spazzino e custode, poteva vivere finalmente di scrittura. Cileno di nascita, classe 1953, ma trapiantato negli Stati Uniti e in Messico, infine in Spagna, Bolaño era tornato nella propria patria (considera sua patria «i figli, alcune vie, libri, ricordi») per partecipare al cambiamento socialista di Salvador Allende. Il colpo di Stato di Augusto Pinochet lo costringe all' esilio volontario. Torna, ma mai definitivamente. E sempre, anche dopo la caduta della dittatura, resta viva la fiamma polemica contro qualsiasi autoritarismo, compreso quello chavista, con cui polemizza dopo aver ritirato il premio R6mulo Gallegos ed essere stato coinvolto, in quanto vincitore, nelle manovre dell' edizione successiva.
Anche da morto, Bolaño continua a vincere premi. Quando gli chiedono se non si senta già un grande autore postumo, risponde che Postumo sembra il nome di un antico romano. Sei anni dopo la sua scomparsa, avvenuta nel 2003, vince il National Book Critics Circ1e. 124 membri della giuria, che raccolgono il parere di più di 700 critici nordamericani, hanno deciso all'unanimità di riconoscere 2666 come migliore romanzo dell'anno. Più di 75.000 copie vendute in quasi quattro mesi, due edizioni, un successo che sembra destinato a crescere. Un fenomeno unico per gli Usa, dove soltanto il 4% dei libri pubblicati sono traduzioni e dove è praticamente inedito il successo di un libro "ispano".
2666, considerato il Cent' anni di solitudine del post-realismo magico, è stato pensato e scritto dall'autore per essere pubblicato in cinque parti. Così da assicurare, con i diritti, il futuro economico dei suoi figli. Bolaño sapeva di essere ammalato, sapeva di essere stato iscritto ad una corsa contro il tempo, per questo scriveva come un matto e non si faceva vedere, pallido, in pubblico. Salvo rare eccezioni. I suoi lettori no, non sapevano che il loro autore stava morendo davvero. Quel 14 luglio del 2003, la notizia della sua morte ha sorpreso a tutti i suoi fan.
È considerato il padre del "realvisceralismo" (movimento letterario ed esistenzialista indefinito al quale appartengono i personaggi de I detective selvaggi), anche da morto resta la nuova stella della letteratura latinoamericana. Una specie di Julio Cortazar post-boom del "realismo magico". Ci sono i pellegrinaggi di giovani lettori nei posti raccontati nelle sue storie, tra cui Roma, dove ha ambientato il romanzo Un romanzetto canaglia (Sellerio, 2005). Attraverso i libri di Bolaño e questo successo, anche se "postumo", sembra tramontata l'egemonia di Garcia Marquez, Vargas Llosa e Carlos Fuentes. La nuova narrativa latinoamericana parla di "realismo sucio", sporco: storie di narcotraffico, guerriglia, contaminazione e crisi economica mondiale. Segnali di cambiamenti c'erano stati, ma con Bolaño è arriva la svolta.
Avevano iniziato Alberto Fuguet con l'antologiaMcOndo e i romanzi di Santiago Gamboa, Jorge Volpi, Mario Mendoza, Jorge Franco e Hector Abad Faciolince. Ma Bolaño ha una forza dirompente. Il direttore del carcere Huntsville, in Texas, ha proibito la lettura di I detective selvaggi ai detenuti, perché ricca di passaggi «che stimolano le pratiche sessuali perverse e criminali»; in molte università americane, invece, ci sono corsi che studiano l'opera di Bolaño, come avviene per un suo sfortunato collega, nordamericano, David Foster Wallace; negli ultimi anni, sono stati scoperti altri due romanzi inediti nei suoi misteriosi archivi cartacei. Ha detto bene lo scrittore argentino Rodrigo Fresan dopo la morte di Bolaño: «Riposa in pace, Roberto. I tuoi libri continueranno a dare guerra. Sempre».
ROSSANA MIRANDA. Nata a Caracas, Venezuela, nel 1982. È stata giornalista del quotidiano "El Nacional" e di "Telesur". Lavora al mensile:Eol;; miche" collabora con "Internazionale" e diverse testate latinoamericane.


l'articolo su Archivio Bolaño  link interno

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