lunedì 24 maggio 2010

La Bolañomania conquista il mondo

  Francesco Prisco ,   Il sole 24ore -  20/5/2010



E Adelphi prepara il seguito di «2666»


Avete appena finito di leggere le oltre mille pagine di « 2666 link interno», il capolavoro postumo di Roberto Bolaño, e siete rimasti sbalorditi al punto che vorreste saperne di più sulle sorti dell'immaginario scrittore Benno von Arcimboldi e i misteriosi femminicidi nel nord del Messico? Allora tenetevi forte: Adelphi ha in mano un inedito del romanziere cileno che rappresenta una ideale sesta parte del romanzo fiume che lo ha imposto all'attenzione della critica mondiale come una delle voci letterarie più autorevoli di questo inizio secolo.

Il titolo è ancora top secret mentre si sa che a lavorarci è la stessa squadra che ha portato alla pubblicazione, tra il 2007 e il 2008, dell'eccellente versione italiana di «2666». Più che di un seguito vero e proprio (impossibile usare questo termine a proposito di un'opera dalla struttura circolare, senza un inizio e una fine ben precisi) si tratterebbe di un libro a sé stante, con personaggi già noti ai lettori di «2666» e vicende che si intersecano a quelle del capolavoro bolañiano. E non si tratta dell'unico regalo che la casa editrice presieduta da Roberto Calasso si appresta a fare ai fan di Bolaño. Dopo la recente pubblicazione della raccolta di saggi «Tra parentesi» uscirà infatti a inizio giugno «Amuleto», romanzo pregevolissimo già apparso per Mondadori nel 2001 e purtroppo finito in fretta nel dimenticatoio. Per capirci: proprio da una citazione di questo libro (nel quale l'autore immagina un cimitero del 2666) nascerebbe il titolo del capolavoro bolañiano. Seguirà poi «Il Terzo Reich», romanzo uscito postumo in Spagna ma inedito in Italia che si ispira all'immaginario dei giochi di ruolo a sfondo bellico.Un'attenzione postuma - quella riservata allo scrittore nativo di Santiago scomparso prematuramente nel 2003 per una grave malattia epatica – sintetizzata alla perfezione dal vocabolo coniato da «The Economist»: Bolañomania. Perché Bolaño appartiene all'eletta schiera dei grandissimi della letteratura che in vita non hanno avuto in sorte di vedere riconosciuti i propri meriti e dopo il decesso sono diventati oggetto di culto. In cinquant'anni di esistenza, spesi tra il Cile, Città del Messico e la Spagna, l'autore di «2666» ha scritto tanto, letto tantissimo e per giunta praticato mestieri improbabili per tirare a campare (vendemmiatore d'estate, commesso, persino vigilante notturno in un campeggio della Catalogna).

Tra il '98 e il '99 qualcuno si è accorto di lui tributando al suo romanzo «I detective selvaggi» i premi «Herralde» e «Romulo Gallegos». In Italia è Sellerio a rischiare prima di tutti sul cileno, pubblicando a ritroso gran parte della sua produzione. Tuttavia soltanto nel 2004, un anno dopo la sua morte, esce «2666» e scoppia il caso: premio Salambò alla memoria, critica giubilante soprattutto nei paesi anglosassoni che apprezzano l'originalità cosmopolita del suo stile, dati di vendita a sei zeri in tutto il mondo. Nella provincialissima Italia, dove le classifiche dei libri più letti sono dominate da improbabili personaggi televisivi e «gialletti» più o meno pregevoli, «2666» nelle edizioni Adelphi ha venduto qualcosa come 15mila copie. Non male per un'opera di oltre mille pagine.

Ma che cosa rende unico Bolaño e decisivo il suo capolavoro? Partiamo da quest'ultimo punto. «2666» può essere tranquillamente definito un romanzo-mondo, un'opera monumentale composta (almeno fino a questo momento) da cinque parti, ciascuna con uno stile diverso, leggibile autonomamente rispetto al resto dell'opera eppure idealmente connessa a un unico disegno superiore. «La parte dei critici» è un divertissement letterario che potrebbe essere uscito da una penna neoavanguardista, «La parte di Amalfitano» sa del minimalismo di Raymond Carver, «La parte di Fate» è un po' un hard boiled alla James Ellroy, «La parte dei delitti» ha la cupezza del Cormac McCarty più ispirato, mentre «La parte di Arcimboldi» è un grande romanzo di formazione europeo. Prese insieme, queste cinque parti compongono un affresco unitario degno delle migliori opere-monstre apparse a inizio Novecento, una dolente quanto inesorabile meditazione sul Male che domina tutte le cose, laddove «Male» è semplicemente il modo in cui noi uomini ci accaniamo a chiamare il Caso. L'esperienza di vita di Roberto Bolaño, in ultimo, ci insegna una cosa: gli autori di oggi destinati a lasciare una traccia indelebile nella storia della letteratura è inutile cercarli ai saloni del libro o tra gli ospiti dei talk show. Molto più probabilmente lavorano come commessi nell'ultima bottega di quartiere

© Francesco Prisco



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