mercoledì 28 luglio 2010

Javier Marías, difensore del futuro negato

Corriere della sera - 26 luglio 2010  

Corriere della sera   - - - -

Marías, difensore del futuro negato

 
Il vero romanziere, ha scritto Marías, non riflette la realtà bensì piuttosto l’ irrealtà, intesa non quale inverosimiglianza o fantasticheria, bensì semplicemente «come ciò che avrebbe potuto accadere e non è accaduto». Al pari di Musil, Marías sa che la storia -individuale e collettiva- non è fatta soltanto di ciò che è successo e certo ancor meno delle alternative chimeriche e assurde, ma è fatta anche delle possibilità, delle potenzialità concretamente latenti in una determinata situazione; di ciò che, in un dato momento, era o è possibile. Ernestina Pellegrini ha parlato del mio interesse narrativo per «i futuri abortiti», ossia per quelle realtà vitali esistenti, stroncate nel cammino verso la loro compiuta realizzazione ma facenti parte, in questo processo, del mondo. Javier Marías è uno straordinario maestro nel raccontare concretamente questi futuri abortiti, come quello di Valerie, la moglie di Peter Wheeler, che, suicida in ancor giovane età, non è stata compagna della sua vecchiezza, ma vive ed esiste, insieme a lui vecchio, con questa sua assenza, che è anch’ essa una storia, quanto quella della sua attività durante la Seconda guerra mondiale o della sua morte (Il tuo volto domani).

Il tuo volto domani -un vero capolavoro- è il titolo di una trilogia, ma potrebbe forse essere il titolo ideale della narrativa di Marías in generale. Il tacito interrogativo su quale sarà domani un volto che si ama, o anche il proprio, è un’ ossessione che diventa verità esistenziale, un’ incertezza che trapassa quasi in una legge. È un futuro che esiste nella coscienza del presente che lo teme e nega quel presente o almeno insinua una sua negazione e lo sgretola; è un tessuto impalpabile di tanti futuri, qualcuno forse destinato a diventare un giorno presente, altri solo incombenti e possibili o imprevedibili, ma in qualche modo reali in questo loro incombere.
Javier Marías ama le fotografie, enigmatiche tagliole del tempo che catturano qualcosa che non c’ è, un istante immobile in una corsa che è solo fluire e non conosce immobilità. Un paio di mesi fa, per caso, mi è capitata sott’ occhio una fotografia che mi ha subito fatto pensare al Tuo volto domani: quella di Hitler a circa uno o due anni di vita, tenero volto di bambino da proteggere e coccolare, che diverrà il volto di Auschwitz.
Questo esempio, tuttavia, è troppo univoco e semplicistico e non rende giustizia al narrare di Marías, alla sua appassionata e velata ambiguità. Quella fotografia di Hitler infante esprime certo un elemento, forte e centrale, della complessa tematica implicita nel volto di domani: la paura che un volto, magari amato con passione e fiducia, più tardi diventi (o si riveli?) orribilmente diverso, malvagio, traditore, il contrario di quello in cui avevamo creduto e che avevamo amato.

Ma raccontare la storia di questo volto domani, quando non c’ è ancora ma c’ è già nel suo maturare, non è solo esprimere quella paura che, retrospettivamente, si prova vedendo l’ immagine di Hitler bambino e sapendo cos’ è diventato. Significa piuttosto raccontare -calandolo in una ben precisa vicenda, ricostruita con puntiglioso rigore nei dettagli psicologici, cronologici e nella sua sequenza anche (seppure non solo) lineare - lo sdipanarsi del tempo da una caligine interna e suscettibile di assumere le forme e gli aspetti più diversi, inquietanti o teneramente amorosi, come le nuvole. Elide Pittarello, citando le parole dello stesso Marías, ha parlato della sua «capacità di vedere le relazioni fra tutte le cose», che fa della sua scrittura una rete gettata in un continuum oscuro quale è la vita.

Ma se il racconto di Marías coglie, come una rete gettata in un immenso pelago indistinto, l’ impalpabile e sfuggente sabbia del vivere, esso afferra pure, con lucidità e precisione, la concreta storia e storicità degli eventi, la politica, gli intrighi sociali, il meccanismo degli apparati statali e militari. Poche altre opere scavano altrettanto, con meticolosa esattezza e passione morale, nella realtà storica.

Poche altre opere ci fanno ad esempio conoscere altrettanti aspetti, episodi, caratteri della guerra civile spagnola, dei suoi labirinti politici e delle sue infamie (durante e dopo di essa) che il lettore tocca con mano. La sua narrativa penetra concretamente, con realismo non solo letterario e con analisi oggettivamente fedeli alla realtà dei fatti, gli orrori della guerra, i meccanismi del potere che, anche negli Stati democratici e nella difesa della libertà e della democrazia, si fonda sulla violenza, sul tradimento, sulla bassezza, perfino sul delitto.
Questo contrasto, artisticamente fecondo, tra lo sfumare quasi inavvertito degli eventi, di per sé non immorale ma amorale, e le epifanie dell’ umano, del bene e del male, che tagliano come spade, è possibile forse grazie all’ ambivalenza dell’ Io. C’ è un io narrante, c’ è un io narrato e c’ è una voce del testo, mescolati ma non fusi. Marías è un maestro anche per quel che riguarda il rapporto fra l’ autore, la persona materiale che porta il suo nome, e il personaggio che narra in prima persona - rapporto che è un nodo centrale della letteratura di sempre e in particolare di quella moderna e contemporanea. Prestando la sua voce e alcune sue esperienze al personaggio narrativo de L’ uomo sentimentale- ha scritto lo stesso Javier Marías nel breve saggio Chi scrive -egli sa che non si tratta di lui stesso, bensì di qualcuno ben distinto da lui, anche se a lui somigliante; quel personaggio, egli dice, era «colui che avrei potuto essere ma che non sono stato»- l’ io di un suo futuro abortito nella realtà e rinato o ripescato nella scrittura.
Nel romanzo Tutte le anime, in un passaggio ricordato dallo stesso scrittore in un suo saggio, il protagonista dice «io» e usa un nome che lo accompagna sin dalla nascita anche nella mente di altre persone, così come racconta dei fatti che possono essere attribuiti all’ autore stesso, ma soltanto perché preferisce parlare in prima persona, senza per questo pensare che si possa restare il medesimo nel variare del tempo e dei luoghi in cui si vive. Raccontando ciò che ha visto e vissuto, non è più colui che ha visto e vissuto quelle cose. Non c’ è poetica dell’ Io che potrei sentire più congeniale. È solo nella scrittura, ha scritto Marías in un altro saggio, che lo scrittore scopre di aver visto delle cose che sino a quel momento non sapeva di aver visto e si accorge di dettagli che non aveva percepito.

© Claudio Magris  
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