giovedì 3 giugno 2010

Stella distante - di Roberto Bolaño

Francesca Meneghetti  - 15 giugno 2010



Stella distante - di Roberto Bolaño

Poiché un libro rappresenta una costruzione o un montaggio, uno dei suoi fattori di successo è dato dalla trasparenza delle implicite istruzioni per l’uso. Quando la ricetta è facile e scontata, il lettore tende a lasciare la presa per eccesso di banalità. Lo stesso accade quando lo sforzo di capire come funziona è troppo arduo. Una giusta formula è quella che intriga il lettore quel tanto che basta per trattenerlo, ma gli concede anche degli spiragli, dei contentini, giusto per non tirare troppo la corda. E’ in fondo una forma di seduzione, nel senso etimologico del termine (attirare a sé).

“Stella distante” non è un libro facile né da interpretare né da leggere: l’autore, Roberto Bolaño, ricorre infatti spesso all’artificio della digressione, tanto da ricordare il mitico Vita e opinioni di Tristram Shandy di Laurence Sterne, che al pari del nostro libro sembra perseguire l’obiettivo di smascherare il realismo. Tanto più che gran parte di queste digressioni non sono narrative, ma bibliografiche o letterarie (in apparenza): riguardano libri, poeti, scrittori. Veramente esistiti o inventati di sana pianta? Un universo di citazioni, vere e fasulle, probabilmente, mescolate insieme che ricordano Borges, autore, tra l’altro di un racconto come La biblioteca di Babele inserito nel libro Finzioni (due titoli già programmatici).
Il libro però non ha l’allure di un saggio noioso. L’ambientazione ci riporta al Cile agli albori degli anni ’70, all’epoca di Salvador Allende, tra una gioventù marxista assatanata di poesia. Già questo elemento è spiazzante, se si pensa alla generazione italiana coeva, totalmente assorbita dalla politica, talora intossicata fino a convertirsi alla violenza. Disposta ad aprirsi solo ed esclusivamente alla musica. Fu però la gioventù cilena a pagare un tributo altissimo alla politica, con il golpe di Pinochet, mentre quella italiana ed europea si limitava a cantare con gli Inti Illimani “El pueblo unìdo jama serà vencìdo.” Eppure gli eventi più drammatici di quel periodo rimangono sullo sfondo, sfumati, filtrati dallo sguardo malinconico del giovane che va in esilio in Europa.
L’attenzione si focalizza, da lontano, sualcuni personaggi rimasti in Cile: due docenti di letteratura, Bibiano O’Ryan, il miglior amico del narratore che tiene informato sui casi cileni per via epistolare, le gemelle Garmendì. Tutte persone dalla vita spezzata se non ‘desapareside’. Ma il personaggio più inquietante è Alberto Ruiz-Tagle, il più affascinante e il più a modo degli studenti-poeti, che subisce però una metamorfosi tanto rapida quanto sconvolgente: con la nuova identità di Carlos Wieder esordisce come poeta delle nuvole, scrivendo versi in cielo con il fumo di un aereo, per diventare poi un foto-pornografo (là dove però l’oscenità consiste nello strazio inferto ai corpi dei dissidenti dalla polizia), torturatore seriale, assassino e altro ancora. Diventa cioè un incubo, nato però dalla poesia, dall’amore per la bellezza. Un incubo e un simbolo, forse dello stesso Cile. L’antitesi è spiazzante. Non è una novità assoluta, se pensiamo a Dostoevskij. Nel libro di Bolaño, essa dà vita ad una investigazione sull’iter del Male, condotta da un detective, Romero, pure lui dalla vita spezzata, che si incarica della Nemesi finale. Al di fuori, tuttavia, della beata certezza della tragedia greca: il mondo contemporaneo non è di Oreste, ma di Amleto, che vive al confine tra mondo reale e mondo onirico

© Francesca Meneghetti  - Comari & Compari.
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