sabato 31 luglio 2010

curriculum vitae di Gabriel Ferrater (Massimo Rizzante)

Massimo Rizzante -

22 aprile 2010

curriculum vitae di Gabriel Ferrater

Gabriel Ferrater (Reus, 1922-San Cugat, 1972) non è solo il più importante poeta catalano della seconda metà del XX secolo, ma uno dei più grandi poeti europei del suo tempo. Traduttore, linguista e poliglotta, critico letterario e critico d’arte, Ferrater, giunse relativamente tardi alla poesia; pubblicò la sua intera opera in versi nel giro di pochissimi anni, tra il 1960 e il 1968. Di un’intelligenza folgorante e di una personalità allo stesso tempo anarchica e disciplinata, tenera e narcisistica, spirito antiromantico, amante della poesia medievale (Ausiàs March) e di Shakespeare, fondò la sua poetica sul dato autobiografico e la radiografia storica, sul desiderio, l’amore, il sesso, la memoria e l’oblio. Aveva sempre detto che è immorale oltrepassare i cinquant’anni. E mantenne fede alla parola, suicidandosi il 27 aprile del 1972 nel suo appartamento di San Cugat del Vallès. Un atto, quindi, tutt’altro che disperato, quanto piuttosto morale, di una moralità priva di ogni lusso contemplativo. Un po’ come la sua poesia che, come lui stesso ha affermato, deve sempre «essere chiara, sensata, lucida e appassionata», attenta al movimento degli uomini e delle donne, capace di elevare al massimo grado l’energia emotiva della lingua, senza per questo corrompere con un eccesso di partecipazione il centro dell’immaginazione.



LA PLATJA
El sol se l’ha menjat. Anava sola,
descalça com la mar, vestida com
la mar, amb brusa blanca i slacks verds,
i era rossa com l’aire, lluminosa
com el lleó de fúria total.
Se’ns l’ha menjat. Fem-nos canilla d’ira.
Tallem el vent de llauna amb la cisalla
dels udols llargs. Esgarrapem la sorra.
Lladruquegem la mar, la disfressada.

LA SPIAGGIA
Il sole se l’è mangiata. Andava sola,
scalza come il mare, vestita come
il mare, camicetta bianca e slacks verdi,
era bionda come l’aria, luminosa
come un leone preso da una furia totale.
Ce l’ha mangiata. Diventiamo ira di muta canina.
Tagliamo il vento di latta con cesoie
dai lunghi ululati. Graffiamo la sabbia.
Latriamo al mare, questo travestito.


A TRAVÉS DELS TEMPERAMENTS
Uns pins massa sensibles es revinclen
deixant sentir com se saben patètics
mentre compleixen aquest deure líric
d’expressió del vent, que arriba net.
Les arrels cruixen sordes, i les branques
exulten de dolor, per proclamar
que és greu que bufi l’esperit. El vent,
quan surt del bosc, va tot podrit de queixes.
 
ATTRAVERSO I TEMPERAMENTI
Alcuni pini troppo sensibili si contorcono
lasciando intendere come si sentano patetici
mentre compiono questo dovere lirico
di esprimere il vento, che pure giunge limpido.
Le radici scricchiolano sorde, e i rami
esultano di dolore per proclamare
che è grave che soffi lo spirito. Il vento,
quando esce dal bosco, è tutto marcio di lamenti.


MECÀNICA TERRESTRE
Veus, és aixi que tot pot començar.
Després, el més profund. Ara projecta
les figures senzilles, els acords
i els contrasts, les anades cauteloses
i les vingudes ràpides, els gestos
que no s’amaguen a ningú. Ja ho veus,
ara tan bé com qualsevol moment.
Ets a una plaça amb cases a mig fer,
com magranes badades, que deslliuren
granets de cel envidreït. Els vells
recullen llum com ningú, a les mans
de cera que no es fon, plàcida. Els joves
surten embriagats del cine heroic
i llencen cigarrets a terra, durs
com la pedra que vol clavar un ocell.
Al cafè no del tot luxós, un home
que va pels cinquanta anys i és moll però
vehement, com un drap de barberia,
no sap si prefereix d’oferir foc
ell mateix, a la noia que ho espera,
o d’enviar-hi, humiliant-lo, el mosso
sorneguer, que li espia l’avidesa.
Un aneguet femení, amb una ratlla
de mercromina al turmell dolç on no
trobaràs cap ferida, va corrent
per nua passió, car no té pressa
i vol que ho sapiguem, i riu als vidres
de cada aparador. Ja ho veus. Un món.
Un instant d’un capvespre, has vist els cossos
i les distàncies. Ara calcula
les masses, les libracions dels cors—

MECCANICA TERRESTRE
Vedi, è così che tutto può cominciare.
Quel che è più profondo verrà dopo. Ora proietta
le figure semplici, gli accordi
e i contrasti, le andate prudenti
e le rapide venute, i gesti
che non si nascondono a nessuno. Lo vedi
tanto bene ora come in qualsiasi altro momento.
Sei in una piazza con case costruite per metà,
come melograne spaccate che dispensano
granelli di cielo invetrato. Come nessuno
i vecchi raccolgono luce nelle loro mani
di cera docile che non si fonde. I giovani
escono ebbri da un film eroico
e gettano a terra sigarette dure
come la pietra che vuol colpire un uccello.
In un bar non proprio di lusso, un uomo
sulla cinquantina, tenero ma
violento come un panno da barbiere,
non sa se preferisce offrire lui stesso del fuoco
alla ragazza che se lo aspetta,
o inviarle, umiliandolo, il garzone beffardo
che spia il suo desiderio.
Un anatroccolo femmina, con una striscia
di mercromina alla caviglia dolce,
dove non troverai nessuna ferita, razzola
per nuda passione, poiché non ha fretta
e vuole che lo sappiamo, e ride ai cristalli
di ogni vetrina. Già lo vedi. Un mondo.
In un solo istante all’imbrunire hai visto corpi
e distanze. Ora calcola
le masse, le oscillazioni dei cuori…


ÍDOLS
Aleshores, quan jèiem
abraçats davant la finestra
oberta al pendís d’oliveres (dues
llavors nues dins un fruit que l’estiu
ha badat violent, i que s’omple
d’aire) no teníem records. Érem
el record que tenim ara. Érem
aquesta imatge. Els ídols de nosaltres,
per la submisa fe de després.

IDOLI
Allora, quando stavamo distesi e
abbracciati davanti alla finestra
aperta sul pendio degli ulivi (due
semi nudi dentro un frutto che l’estate
ha spaccato con violenza e che si riempie
di aria) non avevamo ricordi. Eravamo
il ricordo che abbiamo ora. Eravamo
questa immagine. Gli idoli di noi stessi,
per la sottomessa fede del dopo.


[Poetica]
Sono nato a Reus il 20 maggio del ’22. Gli altri fatti della mia vita non sono così facili da descrivere e più difficili da datare. Mi piace il gin con ghiaccio, la pittura di Rembrandt, le caviglie giovani e il silenzio. Detesto le case dove fa freddo e le ideologie.
La poesia medievale ha in me un buon lettore e non le costa alcuna fatica persuadermi. In Bertran de Born, Chaucer, Villon, Skelton trovo un’abbondanza di verità asciutta e agile, vista con occhi tersi e sentita con cordialità, che non mi fa venire nostalgia delle grandi masse di liquido verbale che il Rinascimento ha messo in circolazione. Catullo è l’unico poeta antico che sono riuscito a conoscere, e di quelli recenti, ho provato a crearmi un angolo all’ombra di un ramo della poesia inglese che, nato da Thomas Hardy, è cresciuto con Frost, Ransom, Graves, Auden. Tuttavia, Bertolt Brecht è colui che per primo mi ha fatto comprendere che la poesia può far a meno di molti lussi. I poeti catalani che più spesso ricordo sono March e Carner: e anche Jaume Roig, che ogni volta mi rimprovero di non aver ancora letto …
Concepisco la poesia come la descrizione, momento per momento, della vita morale di un uomo ordinario, quale io sono. Nessuna delle cose che la mie poesie consegnano ha un valore eminente, ed è semmai la complicazione e l’equilibrio dei temi che può dare all’insieme un interesse di verità. Il fatto è che a me, in un paio d’anni, passano per la testa poche cose e, benché la memoria sia andata accumulando ricordi e io abbia fatto in modo che ogni poesia giocasse il proprio ruolo senza interferire con le altre, il risultato è certamente parziale e non proprio veritiero. Ora, non mi faccio troppe illusioni e so che, per quante immagini e sentimenti possano aver riempito la mia vita, ce ne sono stati molti altri possibili. Il mondo non è abbastanza suggestivo per nessuno, e tutta la vita è parziale, anche quando la cogliamo nella sua massima latitudine.
Faccio in modo che le idee teoriche non mi distraggano troppo, ma posso dire di esser riuscito ad allontanarmi non poco dall’estetica romantica della quale è imbevuto il mio tempo. Oggi vedo che è del tutto legittimo distinguere il contenuto dalla forma di una poesia, e non capisco perché dovrei sentirmi obbligato a confondere un viaggio all’inferno con il padre della terza rima. Penso che sia il contenuto che fa la poesia, e che, come asseriva Goethe, le questioni di stile inquietano soltanto le signorine per bene. Di stile dobbiamo averne poco: dobbiamo realizzare soltanto ciò che la nostra educazione ci ha donato e che è impersonale, e dobbiamo guardarci dal giocare con il senso delle parole della tribù. Ben poca cosa è un poeta se non è in grado di comporre senza angosce, passo dopo passo, in qualsiasi momento e con sicura efficacia stilistica qualsiasi motivo che sia riuscito a concepire con chiarezza. Ogni poesia dovrebbe essere chiara, sensata, lucida e appassionata, vale a dire in una parola, divertente. Si può perdonare a un poeta di mancare di qualche strumento, ma non riesco a perdonare molti poeti di oggi che riservano alla poesia i loro stupori, tanto che i loro versi offrono un’immagine tanto sciocca degli autori che non può essere quella di nessuna persona viva, poiché una vita non si conserva se non è ben attenta alle leggi del denaro e ai movimenti degli uomini e delle donne.
Quando scrivo una poesia, l’unica cosa che mi preoccupa e che mi costa sacrificio è quella di definire bene il mio atteggiamento morale, ovvero la distanza che c’è tra il sentimento che la poesia esprime e ciò che potremmo chiamare il centro della mia immaginazione. Uno dei motivi per cui scriviamo poesia è il desiderio di vedere fin dove possiamo elevare l’energia emotiva della nostra lingua, e ciò ci conduce a scegliere temi insidiosi, molto adatti a corromperci e a ottenere dai noi stessi un eccesso di partecipazione. Ma non dobbiamo consentirlo, e il dovere primario del poeta davanti a un tema è di collocarlo al suo posto, senza contemplazioni…
I testi poetici qui presentati fanno parte di Curriculum vitae Poesie 1960-1968, traduzione, nota e cura di Pietro U. Dini con una Evocazione di Jaime Salinas. Il volume, in uscita a maggio nella collana  Biblioteca di poesia   (Il Metauro), è la prima antologia in italiano di Gabriel Ferrater.
 © Massimo Rizzante

Un grande scrittore portoghese ha scritto una volta:

«Una letteratura la più vicina possibile alla clandestinità, ma pur sempre pubblicabile, è la sola speranza di salvezza che resta all’artista. In guerra con il suo tempo, ma ciononostante edita nel suo tempo, l’opera attingerà forse a qualche grandezza. Anche se non sarà coronata dall’alloro riservato ai combattenti – che una volta incoronati vengono disarmati – potrà pretendere di conquistare la simpatia di coloro che, senza negare il presente, rifiutano di venderlo all’avvenire”.
Penso che Ferrater sarebbe stato d’accordo.
[Massimo Rizzante, commento su nazione indiana]


pubblicato su Nazione Indiana   - - - -

© Massimo Rizzante - "su Nazione Indiana" 

Massimo Rizzante (1963) è poeta, saggista e traduttore. Ha fatto parte dal 1992 al 1997 del Seminario sul Romanzo Europeo diretto da Milan Kundera.
Dal 1993 al 1996 è stato redattore della rivista letteraria Baldus. Dal 1994 è redattore della rivista L’Atelier du roman. Nel 1999 ha pubblicato la raccolta di poesie Lettere d’amore e altre rovine, Biblioteca cominiana. Dal 2004 dirige la collana Biblioteca di poesia, Il Metauro. Nel 2005 ha tradotto Il sipario di Milan Kundera, Adelphi. Nel 2007 è uscito il saggio L’albero, Marsilio e ha pubblciato la seconda raccolta poetica, Nessuno, Manni. Nel 2008 ha tradotto Un incontro di Milan Kundera, Adelphi e curato l’antologia poetica di O. V. de L. Milosz, Sinfonia di novembre e altre poesie, Adelphi. Nel 2009 è uscito il saggio Non siamo gli ultimi, Effigie. Nel 2010 ha curato la raccolta poetica di M. Crnjanski, Lamento per Belgrado, Ponte del Sale e ha pubblicato la novella Ricordi della natura umana, La Camera Verde.
Insegna all’Università di Trento.

le  opere di Massimo Rizzante

Nessun commento: