lunedì 9 agosto 2010

il peso specifico delle parole

 Biagio Cepollaro -



il peso specifico delle parole

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Riconoscere il peso specifico di una parola non è possibile per un qualche suo tratto distintivo: un testo poetico non è ‘sperimentale’ perché è astruso o semplicemente inconsueto, né un testo poetico rinnova la tradizione lirica perché vi parla semplicemente un soggetto configurato come un ‘io’ ottocentesco… La banalità si annida in questi tratti distintivi, anzi, è proprio il fatto che si anteponga alla concreta lettura del testo e alla relativa esperienza, dei tratti distintivi, il luogo originario della banalità della critica.

Nella incredibile esplosione e moltiplicazione di voci poetiche (di scritti ‘poetici’) sulla Rete, le etichette, già pericolanti prima, hanno perduto ormai del tutto la loro funzione economica di orientamento per delle concrete realtà testuali. Il termine ‘lirica’ non vuol dire più nulla. A quale configurazione della soggettività, infatti, il termine dovrebbe riferirsi? I termini ‘sperimentale’ e ‘avanguardia’ hanno perduto definitivamente la loro utilità, già gravemente compromessa negli ultimi quarant’anni del Novecento, nel deperimento della dicotomia tradizione-avanguardia.

Dunque non sarà un’etichetta né un tratto distintivo ma il peso specifico delle parole di cui faremo esperienza ad essere, per noi lettori, significativo. Solo che il peso specifico della parola poetica vive, per così dire, nell’interstizio tra la superficie del testo e la sua latenza profonda:   tocca a ciò che il lettore ha raggiunto nella sua evoluzione complessiva (emotiva, intellettuale, spirituale) provare ad attualizzare quella latenza e a darle voce.


La lettura critica è questa voce che può risuonare solo alle frequenze che muovono, almeno in parte, quella latenza. Eppure ogni livello di lettura può avvertire il peso specifico delle parole di un testo poetico. Anche al primissimo livello, quando semplicemente si dice ‘mi piace’ o ‘non mi piace’, si segnala l’avvenuto effetto di risonanza o la sua assenza.

Ma non è questa lettura critica.

Quest’ultima comincia quando la risonanza viene svolta e attraversata, quando un attimo di risonanza si fa esperienza tendenzialmente piena del testo, per quanto, per suo statuto, sempre parziale e provvisoria. La latenza del testo, non riducibile semiologicamente, non riducibile a ‘campo semantico’, è quel peso specifico che sfuggirà sempre sia al materialismo volgare (ma il discorso, entro certi limiti, potrebbe estendersi anche allo strutturalismo o post-strutturalismo o riferirsi a qualsiasi riduzionismo linguistico della poesia), sia all’idealismo volgare e alla sua verbosa incapacità di fare del testo poetico un’esperienza.

 © Biagio Cepollaro
Tratto da:  

Amleto dopo Wittgenstein: la poesia letta-- Alfabeta2 29 luglio 2010.
il saggio è stato pubblicato su


La scoperta della poesia   (Metauro Ed., 2008)  titolo di una raccolta di saggi intorno alla poesia e alla sua ‘scoperta’ da parte degli stessi poeti, curata da Massimo Rizzante e Carla Gubert .


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  frammento di un'intervista a Biagio Cepollaro di Sergio La Chiusa   
 sul concetto di latenza del testo poetico
Sergio La Chiusa:   -Uno degli obiettivi primari del tuo corso di poesia integrata è, correggimi se sbaglio, sviluppare la latenza del testo poetico. Sappiamo che una delle caratteristiche più potenti della poesia è l’inespresso; il vuoto in cui sono sospese le parole è in realtà densissimo di possibili risonanze, interi strati di senso che attendono solo di essere liberati, portati alla luce (mi vengono ora in mente le parole gelate nell’aria che, rinvenute da Pantagruele, si sgelano e suonano al calore vivo delle mani). Come si verifica questa esperienza maieutica di estrazione, se così si può dire, della latenza del testo?-
Biagio Cepollaro:  -Ti ringrazio di questa domanda con la quale cominci la nostra conversazione sul Corso di Poesia integrata. Le parole che trasformano.
E ti dico subito che il senso del termine ‘latenza’ per me è duplice: da un lato si riferisce a ciò che è ‘nascosto’, dall’altro si riferisce a ciò che non è manifesto, che non vuol dire innanzitutto nascondimento ma più semplicemente che non si è ancora manifestato.
Non si è manifestato ma c’è. E’ una possibilità della manifestazione, come una parola non ancora detta ma che sta per esser detta o può essere detta. Latenza e possibilità sono due nozioni tra loro prossime: la gran parte della nostre psiche è interessata da questa latenza come possibilità, mentre solo una piccola parte è manifesta. Così come nell’ambito del ‘regime dell’informazione’ che tiene insieme i collanti culturali delle nostre società solo una piccolissima parte è manifesta mentre il resto di gran lunga preponderante è assolutamente latente: ciò che non viene in nessun modo detto nel regime dell’informazione viene comunque percepito come nascosto e come causante, determinante, talvolta.
Latenza come non manifestazione è indicazione di un campo da esplorare ma anche, per così dire, di una vita da svolgere, proprio nel senso del seme che esprime allo stato latente altri stati del suo sviluppo. Dimensione del futuro, della futuribilità e, nello stesso tempo, ampliamento ed espansione della coscienza del presente, del qui e dell’ora. Ciò che è ancora latente c’è comunque ora, qui e ora. E’ il nostro lavoro da fare…
Per comprendere la questione della latenza del testo, bisogna partire da ciò che per lo più oggi intendiamo per ‘senso’ della poesia. Diciamo che per lo più, in epoca moderna, è scontato il fatto che da una poesia bisogna chiedere più del suo significato letterale: si parla di ‘ambiguità semantica’ o di ‘polisemia’ come statuto specifico del testo poetico e delle sue connotazioni.
In qualche caso attraverso la nozione di ‘campo semantico’ si è cercato di limitare l’ambito di quest’ambiguità pur accettandola pienamente, come se si potesse in un certo modo ridurre la complessità del campo ad un insieme di elementi discreti costitutivi, almeno in linea teorica. Oppure si è parlato di ‘deriva del significante’ come si rinuncia a parlare dell’acqua preferendo rivolgersi all’infinita variabilità delle onde del mare…
Ma è evidente che la definizione di testo, poniamo, come un insieme strutturato di componente fono-testuale (eufonetica e ritmica) e di componente grammaticale ( fonologico-fonetica, grafemica e sintattico-semantica) conforta concezioni oggettualistiche e riduzioniste che difficilmente possono spiegare la complessa e variabile esperienza estetica. Altre ipotesi di questo tipo non migliorano di molto il risultato finale.
Sicchè ci siamo ridotti a decodificare, a intendere il leggere come decodificare.
Dopo che abbiamo ontologizzato una semplice ipotesi di spiegazione e organizzazione, un modello logico-esplicativo, il Codice, abbiamo dimenticato questa sua natura strumentale e abbiamo creduto di ritrovarlo, proprio lui, nel testo.
E’ così che nasce la storia del lettore come destinatario a cui è demandata la funzione di decodifica. La cosa ha degli aspetti risibili, se ci pensi, comici…
Dunque la latenza, ridotta a polisemia e ambiguità (ricorda che una definizione di ‘informazione’ è ciò che riduce l’incertezza, cioè l’ambiguità…) ha finito con il richiedere un’enciclopedia di partenza al lettore e anche una strumentazione di tipo linguistico, retorico e stilistico.
L’estetica della ricezione è solo il riflesso speculare di questa situazione: il lettore, sociologicamente, è un consumatore.
L’ago della bilancia viene spostato interamente sui lettori-consumatori, all’estremo opposto del testo-feticcio, mancando però anche in questo caso la specificità della relazione..
La ricezione è pur sempre termine che si riferisce al codice dell’informazione.
Uno degli obiettivi del percorso che propongo è quello di liberare l’allievo dalle ristrettezze degli automatismi determinati dall’apprendimento scolastico e dal senso comune. Un’opera
d’arte , insomma, non è un oggetto da decodificare ma un campo di latenze da portare in luce.
Non si tratta di ‘estrarre’ qualcosa come in un movimento di dissotterramento, non è archeologia del senso, si tratta piuttosto di suscitare, attivare, animare qualcosa che non attende altro che essere, appunto, suscitata, attivata e animata.
Per usare un paragone non nuovo: immagina una lampadina che si accende soltanto quando al suo interno passa la corrente elettrica…
Il mio lavoro consiste nel collocare la spina nella presa: connettere l’ascolto di quella singola immagine alla rete generale, cioè all’energia che da sempre circola e anima le immagini…
A quel punto l’immagine si accende e comincia ad agire sull’ascoltatore coinvolgendo altre immagini vivide e cariche di senso…Il piano del coinvolgimento a questo punto è anche emotivo e l’esplorazione del senso diventa non più un gioco o una ginnastica intellettuale ma una vera e propria ricerca di sé attraverso la relazione che si è animata tra l’immagine del testo e le immagini suscitate dal testo.
Dunque, per tornare alla tua domanda: non c’è estrazione, non c’è un movimento di scavo, dal sopra al sotto, dal conscio all’inconscio, dal segreto al manifesto, c’è piuttosto un movimento orizzontale, un avviare la relazione, un’attivare qualcosa fin lì silente ma per suo natura dicente, è come ogni volta piantare un albero nel suo terreno perché possa dare i suoi frutti, ristabilire, cioè, una condizione naturale, fisiologica.
L’ascolto, l’esperienza estetica, l’attività del critico, anche, non sono associabili all’attività del chirurgo o peggio dell’anatomopatologo (quanta critica anche di grande abilità tecnica comunicava questo senso di morte…)
Nelle scuole oggi e nelle università l’insegnamento di queste cose raramente sfugge a questa seriosa e depressa rigidità sublimate in atteggiamento ‘scientifico’: che non si legga molta poesia dipende anche da questo equivoco tradizionale indotto dalla semiotica e dalla teoria dell’informazione…I giovani anche se con ingenuità avvertono che qualcosa non quadra…E imparano a memoria le descrizioni critiche come prima imparavano a memoria le poesie: fiera dell’automatismo e cancellazione dell’esperienza estetica e del suo reale potenziale conoscitivo ed evolutivo





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