mercoledì 4 agosto 2010

milli graffi: Seconda interrogazione sul mezzo

  Milli Graffi - 4 agosto 2010  

Alfabeta2
seconda interrogazione sul mezzo

Cerco di capire che cosa sia questa scrittura che invade il web e che è molto diversa da tutte le fome di scrittura conosciute finora. Una caratteristica predominante è la firma, anzi la mancanza della firma. Non ci sono più i cognomi, in linea di massima, e la firma si regge sull’uso di nomi propri molto comuni. Vien da pensare che più che scrittura siano pratiche che appartengono all’oralità. L’oralità esercita un fascino potente, perché ha le stigmate dell’autenticità, del pulsare in presa diretta con il senso/sentimento dei singoli, e inoltre facilita il rifiuto della razionalizzazione, degli obblighi burocratici delle grammatiche ecc, ecc. Gli  studi di Havelock e di Ong sull’oralità degli antichi, se mi ricordo bene, oltre a esaltare le qualità di un modus inventivo che è alla base di tutta la poesia occidentale, affermavano anche che l’oralità aveva un deciso carattere conservativo. Solo con la scrittura emerge il carattere progressivo. In realtà, la scrittura che sta emergendo dal web non appartiene all’oralità, non emerge mai l’intenzione di mantenere o difendere o salvare dall’oblio un qualsiasi tratto specifico. E’ spesso contestazione, e persino quando è elogiativa, lo è in modo così piatto che finisce per non elogiare niente. L’applauso va sentito dal vivo per affermarsi come tale, altrimenti esige uno sforzo di scrittura. D’altra parte non può esistere l’oralità scritta dal momento che manca quella risorsa fondamentale dell’oralità che è la voce. La voce è carne, è volto vivo, e la voce, questa sì, non ha bisogno del cognome.. Si dovrebbe parlare piuttosto di una coralità, di un bisogno, e di una soddisfazione, di appartenere a un coro, di essere dentro a una coralità, pur avendo qualcosa da ridire. E’ sempre forte la presenza del soggetto, e qui mi chiedo come mai se c’è questa irresistibile pulsione a esprimersi, a proporsi all’esterno per dirsi, dire se stesso, il proprio modo di sentire, il proprio unico individuale idiosincratico modello del pensare che finisce per porsi in contraddizione con gli altri milioni di individui che analogamente proclamano la propria soggettività, come mai non viene sentita l’esigenza di pervenire a una identità?

Nome e cognome, la vecchia odiata carta d’identità, l’incasellamento dentro il sociale, certo, ma anche una salvaguardia e una garanzia per tutelare i diritti della propria soggettività. I clandestini non danno il proprio cognome, per difendersi. Da cosa occorre difendersi scrivendo sul web? Come si origina, qui, la clandestinità? Possibile che questo spazio immenso del web ci renda tutti clandestini? E a questo proposito, è molto illuminante l’ultimo blog di Carlo Formenti in questa rubrica, dove ci dice che il web ha padroni fortissimi, che è passibile di subire ogni forma di ritorsione, fino all’oscuramento, da parte delle forze governative. Cioè, ci dà informazioni sicure sulla vera natura di questo senso di libertà illimitata che il web dà.

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Mi faccio delle domande sulla scrittura del web perché mi piace la scrittura in sé, e i suoi modi di produzione. Il cospicuo fenomeno del web mi ha fatto pensare all’esplosione dei romanzi nell’Ottocento: illeggibili, ma hanno dato cittadinanza a un genere di tutto rispetto e di mirabile durata. Cos’è il blog? Dove va il blog? Faccio un’ipotesi ottimista che forse piacerà di più a Simone Ghelli. Julia Kristeva vedeva una differenza tra “discorso” e “testo”. Il discorso è «un oggetto di scambio tra un mittente e un destinatario». Visto in questa prospettiva, il blog è ricerca di un “tu” con il quale parlare, non importa se amico e nemico perché tutto dipende dal grado di aggressività che in quel particolare momento il mittente (il soggetto) aveva a disposizione.

Un “tu” si cerca meglio con il solo nome, facilitazione dello scambio ecc.
Ben più interessante è quel che Kisteva dice sul “testo”, che individua come pratica significante o processo di produzione di senso, per il quale non si può parlare di una «struttura già data, ma come di una strutturazione, come un apparato che produce e trasforma il senso, prima che questo sia già prodotto e messo in circolazione».

La coralità permette di far circolare la strutturazione, la stimola, l’avvia: verso dove? non si sa e per ora non importa saperlo.

Che cosa diventerà il “testo” al fondo di questa coralità?


© Milli Graffi 

Milli Graffi (1940) dirige la rivista «il verri». Ha tradotto Carroll e Dickens. La sua ultima raccolta poetica è Embargo voice (Bibliopolis 2006) [fonte: Alfabeta2]

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