domenica 3 ottobre 2010

scuola di calore II - ancora tre poesie di massimo rizzante

Massimo Rizzante - poesie


il ciclo di Marrakech”: ancira tre poesie
 della raccolta ancora inedita Scuola di calore



Mia sorella Rajah

a Essaadia

Mia sorella Rajah si chiama così perché è la regina
dell’attesa. La cosa che ama di più è osservare
ipnotizzata il suo sentimento di impotenza
racchiuso nel flacone mezzo vuoto dello smalto per le unghie

Lo guarda crescere come un feto minuscolo e, quando sta per nascere,
con una forbicina gli taglia il cordone ombelicale e lo lascia
sanguinare per ore. Poi si misura la febbre e se supera i 38 gradi
esce di casa: ha una relazione clandestina con la sua tosse

Quando rientra, la sua voce è diventata roca,
come quella di un palmipede che per tutta la notte ha razzolato
sulla neve. E che le ha perforato l’esofago, l’intestino
e le parole che ha pronunciato nell’ebbrezza del digiuno

Rajah attende che qualcuno scenda nel pozzo dei suoi occhi
e pianga per lei tutti i morti che scricchiolano come radici mendicanti
sotto il freddo inverno dell’Atlante e non la lasciano dormire.
Su quale sponda del letto ti chiederanno “Sognami”?

Io vivo perché Rajah ritorni a questo mondo, perché la proliferazione
di palmipedi sventrati nella neve abbia fine. Spero che il mio essere
così insignificante l’aiuti a vestirsi, a truccarsi, a smettere di succhiare
i vecchi seni di nostra madre. A non evacuare nell’armadio

Dopo aver ripulito, mi chiedo se il bene, il male, la giustizia,
l’ingiustizia, non siano che merda depositata sulla punta delle dita.
E se la povertà, nient’altro che un ramo troppo lungo
che deve essere potato affinché la sua ombra duri in eterno

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Cecità e cicogne

a Fatima-Zahra


Io sono Fatima-Zahra e tu sei il mio profeta:
falso e affascinante come tutti i profeti.
Nella mia infanzia non ho avuto un’infanzia.
A tredici anni tu, habibi, leggevi Kafka

Ieri Juan Goytisolo guardava le cicogne da una terrazza di Jamaa el Fna.
La loro casba è un labirinto di rami costruito per noi,
per ostacolarci il cammino verso l’infinito, per ricordarci
che la Terra Promessa non è qui, che viviamo nel deserto

Fra qualche giorno migreranno, dice. Nel frattempo prove di volo. Quale
altro comandamento, mio profeta? Primo: non c’è grazia senza esercizio.
Secondo: non c’è salvezza in nessun luogo. Terzo: l’amore
è non sapere nulla di sé. Quarto: mendicare senza orgoglio

Come il vecchio Hasan. La cecità gli ha tolto lo spettacolo
dei mangiafuoco, dei giocolieri, degli incantatori di serpenti.
Non la grande estraneità. Hasan, che alla scuola del calore
ha imparato la chiaroveggenza dell’insonne

Così le mie gambe sordomute, come le chiamavi,
si affrancheranno dalla schiavitù delle tue parole.
Ma oggi come cicogne mendicanti, alla quinta chiamata,
chiedono tempo, tempo e denaro, denaro e sesso.

Io sono Fatima-Zahra e tu sei il mio profeta:
falso e affascinante come tutti i profeti.
La mia gioventù è stata prostituzione. Come la tua, habibi,
solo che tuo padre, a differenza del mio, la chiamava arte


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Metamorfosi

a Kawthar

Sulla strada per Ourika, al Km. 7, un giorno
mancò l’acqua. Così cominciò a piovere. Ma la pioggia
sapeva di zolfo. Qualcosa di violento nei suoi scrosci
mi ricordò i piani abbietti per penetrare nel corpo di un altro

Dovevo difendermi. Dal fuoco della sete? Dalla pioggia? Da chi
mi avrebbe liberata? La parola «incubo», nel pantano del dormiveglia,
cominciò a enfiarsi come un rospo. Mentre reclutavo le ultime forze,
mi accorsi che una larva di nome Larbi setacciava la mia fica

È inconcepibile, in questa terra di precetti divini,
che una vedova debba essere sfondata da un membro tanto umano,
così come è impossibile che la carne a cui è stato amputato un seno
non senta ancora i morsi del figlio che ha allattato

Eppure una donna che affitta una stanza di nascosto dai suoi parenti,
è condannata ad abbracciare due continenti
separati da uno stretto vortice di uomini d’affari che le sue cosce
divaricate si ostinano ad accogliere

Ci sono momenti, come questo, in cui penso
che se non avessi incontrato Larbi, la mia vita sarebbe stata un letto
lastricato di date decapitate delle prime due cifre
da una ghigliottina di amplessi privi di corde vocali

Al contrario di Larbi, non ho mai posseduto un mio bozzolo.
Ma, sulla strada per Ourika, dove da non so più quanto tempo
manca l’acqua e una pioggia abbietta scheggia le ossa, ho capito
che non si può per sempre essere nemici dei bachi da seta





Nazione Indiana  10 settembre 2010
© Massimo Rizzante
backback 

nota dell'autore:
le poesie fanno parte della sezione che dà il titolo alla raccolta. Un po’ tutta la raccolta ha a che vedere con il sud della spagna, il marocco, con terre povere e spesso oggetto di nuove colonizzazioni…
..... La cosa che caratterizza tutta la raccolta è che le protagoniste sono sempre donne. donne difficili e in difficoltà. ripudiate, emarginate, senza scrupoli e sensibili…
non chiedermi perché. non so rispondere. ma forse basta leggere i giornali.

 

commenti del lettori  nazione indiana
Suggerisco a chi ha letto con piacere le poesie di Rizzante, di leggere anche questo breve testo appena postato, certamente non a caso, dallo stesso R. sul suo blog in http://www.absolutepoetry.org (non so se il link l’ho messo bene). Questa a me sembra poesia antilirica, innanzitutto, poesia che mette in difficoltà in primis il lettore lirico che è nel dna di noi italici. In questo senso, forse, si potrebbe recuperare e impostare una discussione sulla “poesia nazionale” – magari tenendo presente, in parallelo, la “poesia romanzesca” assente ingiustificata dalla prosa nazionale corrente.

Berta
Lo scambio tra Carmelo ed Enrico De Vivo mi ha fatto riflettere sulla questione lirico/antilirico che solleva. Personalmente, trovo che nelle poesie di Rizzante – queste e il trittico postato qualche settimana fa – la volontà di non usare metro e rime e eufonie “cantabili”, non implichi antilirismo, ma una forma diversa di ricerca poetica che gioca in modo provocatorio con le possibilità combinatorie di registri espressivi antitetici: il registro “basso” della fisicità ostentata e della sessualità volutamente mercificata (da cui i vocaboli osceni o scurrili), e il registro “alto” di immagini elaborate dal punto di vista retorico, che producono universi semantici e scenari poetici imprevisti. Penso, ad esempio, all’effetto sorpresa dato dall’inarcatura di certi versi: Rajah è la regina… di cosa? della casa? no: dell’attesa; terzo comandamento di Fatima: l’amore… no! Non l’amore tout court, ma “l’amore di non sapere nulla di sé”; come sono i continenti di Kawthar? separati; e le sue cosce? divaricate. E poi ci sono i “mostri” generati dalle associazioni fantasiose e scomode, come l’uomo-baco Larbi/larva; o la donna/palmipede, che ammicca nell’aggettivo “rOCA”. E poi ci sono versi facili ed evocativi, come quello del “profeta di Fatima” o della “pioggia di zolfo”. Eccetera. Insomma, mi/vi chiedo: se la definizione che il dizionario (il primo che ho trovato, il Sabatini Coletti) offre di lirismo è: “manifestazione della soggettività del poeta o dell’artista, con prevalenza degli aspetti emotivi e sentimentali su quelli razionali”… si può davvero parlare di antilirismo nel caso di Rizzante?
Carmelo
beh mi permetto di dire che riflettendo proprio sulla definizione che hai riportato berta, mi sembra a maggior ragione si nota in questa raccolta una maggiore presa di distanza del poeta che, azzardo e chiedo scusa se dico una stupidaggine, altri non è che hasan che per meglio vedere ha imparato la chiaroveggenza dell’insonne alle illusioni ottiche dell o sguardo:
Come il vecchio Hasan. La cecità gli ha tolto lo spettacolo
dei mangiafuoco, dei giocolieri, degli incantatori di serpenti.
Non la grande estraneità. Hasan, che alla scuola del calore
ha imparato la chiaroveggenza dell’insonne 

Berta
 Non so se ho capito bene, Carmelo: tu dici che si osserva un maggior distacco in queste poesie rispetto a quelle passate? Sì, certo, la rigenerazione nell’assurdo e l’abisso dell’ironia di cui parlava Manuel Gallego nella puntata precedente segnano una presa di coscienza più disincantata, ma non mi pare più estranea; altrimenti sarebbe come parlare di “scuola di gelo”! Tant’è che qui Rizzante si esprime PER le sue protagoniste, cioè si sostituisce a loro, o meglio, entra dentro di loro per dar loro voce, una voce che altrimenti non avrebbero e che – nelle figure (femminili e non) delle sue raccolte anteriori – era invece sdoppiata, esterna, come di narratore o di osservatore. Dal mio personalissimo punto di vista, il poeta di questi componimenti mi sembra essere non tanto un indovino/profeta ieratico e distante, ma una sorta di “prometeo” terrigno e inquieto che ruba il fuoco della conoscenza del mondo, sperimentando direttamente (e per questo macerandosi) l’aurea finitezza della natura umana.


Carmelo
@Berta, i tuoi interventi dinmostrano una conoscenza del linguaggio poetico delle strutture formali che ammiro e…invidio (in senso buono) perchè io ahimè non le possiedo anche se ho tanta voglia di imparare. perciò rischiando a ogni mio intervento di essere ridicolo cerco di esprimere con un linguaggio non appropriato quelle che sono sensazioni che tento faticosamente di razionalizzare anche grazie ai vostri interventi. Grazie anche ai tuoi di cu iti sono grata.
Io non so bene cosa sia il lirismo e la tradizione lirica nella nostra poesia. Ma se usiamo la definizione che ne da Milan kundera nell’intervista citata di Rizzante
il poeta lirico, affascinato dalla sua anima, lascia parlare il suo “io” interiore per risvegliare nel lettore gli stessi sentimenti.
io mi sento di dire che Massimo rizzante non mi sembra un poeta lirico.
A me hanno colpito molto le parole di Miguel Gallego quando parlava
di
un’immaginazione più profonda, più pericolosa (la vera poesia è pericolosa, come le fiere nel camino), il pericolo della compassione totale, della totale ironia su le questione esenziale. ….
Nelle rovine c’è l’Historia …

e poi quando dice
Imaginación y peligro se alimentan mutuamente y la escuela del calor es una escuela del oído,
Insomma secondo me Miguel vede l’altissimo rischio che corre l’autore che avvicinandosi troppo al dolore cada nella “compassione” e nella contemplazione del dolore, e ne rimanga incantato.
Ma è un rischio che bisogna correre, che deve correre la letteratura che come diceva bolano la scrittura
” non significa scrivere bene, perché questo lo può fare chiunque, e neppure scrivere meravigliosamente bene, perché anche questo lo può fare chiunque. Allora, che cosa è la qualità della scrittura? È quello che è sempre stato: essere in grado di cacciare la testa nel buio, essere capaci di saltare nel vuoto, sapere che la letteratura è essenzialmente un mestiere pericoloso “.
secondo me queste poesie danno la misura di una scommessa rischiosa ma vinta.....

 Prima dia ndare a dormire vorrei dire un’ultima cosa sula parola Estraneità che è impiegata nei versi che ho citato e che tu citi a tua volta.
Io non credo che venga usata nel senso di indifferenza.
Sto leggendo un libretto di Ceserani intitolato lo straniero.
li si dice che “lo straniamento” per Sklovskij è
un procedimento artistico di base, che consente a ogni vera opera d’arte di rappresentare il mondo in modo nuovo e fresco, guardandolo quasi con gli occhi di un ostraniero
Oviamente Cesarani prosegue dicendo che dop oi formalisti russi il termine viene ripreso da Brecht che lo intende
come effetto, sugli spettatori del suo teatro, di distacco critico, di distanziamento emozionale dalla vicenda ………
ecco mi pare che sia pure come dici tu l’autore entra visceralmente dentro le donne narranti delle poesie, mantiene un distanziamento emotivo.
beh buenas noches !

 Berta
!Buenos dìas a todos! Carmelo (anche le tue osservazioni offrono molti spunti!!!), credo che più o meno stiamo dicendo le stesse cose; d’altra parte le definizioni – lirico/antilirico, in questo caso – tendono spesso a creare ambiguità, perché è difficile che diano conto di realtà complesse. Secondo me, se si usa un linguaggio simbolico, che mira ad un’espressività esorbitante dal quotidiano, che trasfigura il dato reale, si è già nel campo “lirico” (Gianni Brera scriveva di sport ma era a suo modo lirico; i quadri di Edward Hopper sono più-che-realisti, ma sono lirici; i soggetti da obitorio fotografati da Joel Peter Witkin sono lirici). Dopodiché, il risultato poetico può essere più o meno musicale, più o meno (soggettivamente) gradevole, più o meno stilisticamente riuscito, più o meno comunicativamente efficace, e così via; ma – mi viene in mente Baudelaire, ‘La morte degli artisti’ – c’è sempre quel “desiderio infernale di smantellare l’armatura dell’anima e far sbocciare i fiori del cervello”.



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