mercoledì 3 novembre 2010

tutti gli uomini sono bugiardi - Alberto manguel

  Marco Dotti -

novembre 2001

EROI PERSI IN UNA VITA DI SPECCHI



Chi è davvero Alejandro Bevilacqua? È il protagonista assente, il bersaglio continuamente mancato dell’ultimo romanzo di Alberto Manguel, Tutti gli uomini sono bugiardi (Feltrinelli, traduzione di Elena Liverani, pp. 171, euro 14). L’unico a non mancare il bersaglio è l’assassino che, forse, di Bevilacqua sapeva qualcosa di più. Quel «di più» che genera, alimenta, nutre il dubbio anche nelle persone che gli si credevano – e forse, banalmente, lo erano – più vicine.

Ritorna quindi la domanda: chi era, davvero, Alejandro Bevilacqua? È quell’avverbio, «davvero», a inquietare, in situazioni del genere. Niente più che la morte violenta di uno scrittore inquieta la vita degli altri scrittori, che in qualchemodo si sentono in dovere di prendere posizione (o forse è solo un’inconscia chiamata in correità?). Quelli che restano si fanno domande, azzardano ipotesi, cercano – come si dice in questi casi – «nuova luce», trovando tutt’al più qualche lampo sul nulla. Un altro caso contenuto in un libro recente riguardava il personaggio di Juan Herrera nell’Assassina letterata (Voland, 2004) di Enrique Vila-Matas, per esempio. Mappe che non portano a nulla.


Dunque, Alberto Manguel, poligrafo e scrittore, mette sulla scacchiera del suo libro il cadavere di un altro, immaginario scrittore argentino, Alejandro Bevilacqua, che una domenica mattina viene trovato morto in una strada di Madrid. Per la polizia, che archivia tutto, la morte è dovuta alla sua caduta intenzionale – leggi: suicidio – dal balcone di casa. Manguel parte dalla constatazione, vanamente ripetuta in tutta la storia della letteratura occidentale (dai Salmi biblici in poi), che «tutti gli uomini sono bugiardi, incostanti, falsi, ciarlatani, ipocriti, orgogliosi, vigliacchi, spregevoli» e «affida » l’inchiesta a un improbabile giornalista francese, Jean-Luc Terradillos, che nella Madrid anni Settanta ascolta le testimonianze di cinque persone vicine a Bevilacqua: un confidente, una amante, un compagno di galera, un esule informatore dei servizi segreti. Nessuno è più arrogante di un giornalista, quando si parla di «fatti» e «realtà». Ma al tempo stesso nessuno è meno capace di un giornalista di guardare i mille volti e i mille fatti che compongono quel «fatto» e quella «realtà». Non se ne esce.

La questione dunque non verrà sciolta, perché – forse come tutti gli uomini, appunto – Bevilacqua non era una persona sola, ma tante persone sole in un’unica anima. Mentiva, certo, ma i testimoni chiamati a raccolta da Terradillos non mentono meno. Chi non lo fa, d’altronde, tutte le mattine, quando la realtà gli presenta il conto allo specchio? Ma soprattutto, dove comincia il vero, dove finisce il falso, in una vita di specchi come quella di Alejandro Bevilacqua? Ciò che resta, a conti fatti – sembra suggerire Manguel – non è la meta raggiunta, ma il percorso tracciato, la mappa che, mentre non porta a nulla se computata solo in termini di guadagno e resa nella ricerca della «verità», permette a Terradillos, a Manguel, al lettore una serie di fuori percorso e depistaggi molto più interessanti e, a modo loro, attinenti al vero rispetto al percorso stesso.

Come romanzo-saggio, Tutti gli uomini sono bugiardi gioca – come sempre accade per i lavori di Manguel e come sempre con alti e bassi – sul terreno fertile ma insidioso dell’intertestualità. Forse aManguel interessa parlare sempre e soltanto di libri, di vite tradotte o anche postmortem traducibili (il che è lo stesso) in altri libri. I conti con Buenos Aires Per Alberto Manguel, nato nel 1948, cominciò tutto a Buenos Aires, nei primi anni Sessanta. Nella capitale argentina, abbandonata poi nel ’68, il giovane lavorava allora in qualità di commesso alla libreria Pygmalion. Fu lì che incontrò Jorge Luis Borges – oramai sulla strada della cecità – diventandone, per alcuni anni, una sorta di assistente-lettore (da qui Con Borges, Adelphi, 2005).

 A Manguel toccava, infatti, il compito di tradurre in «voce», quelle lettere, parole e frasi che l’autore delle Altre inquisizioni non riusciva più a cogliere sulla carta e l’inchiostro nero. Se, dalla Storia della lettura (Mondadori, 1997) in poi,Manguel deve molto a Borges, non di meno è con Buenos Aires che i conti – apparentemente chiusi nel 1968, quando cominciò a girovagare per l’Europa lavorando come traduttore – andavano in qualchemodo riaperti. EManguel lo ha fatto in un altro libro, tradotto quest’anno daMaria Nicola per le edizioni Nottetempo: Il ritorno (pp. 96, euro 12).

Il passato, scrive Manguel, è «solo l’invenzione del ricordo che vuole farsi permanente e che noi confondiamo con qualcosa di immutabile ». Che cosa cambia, allora, si domanda Néstor A. Fabris, antiquario protagonista del libro, che torna a Buenos Aires dopo trent’anni di lontananza? Cambia lo sguardo. Anche quando tutto sembra terribilmente immutato, come nella città raccontata nel Ritorno – un libro politicamente intenso, tra i migliori di Manguel.

Tutto sembra uguale a trenta anni prima, ma l’improvvisa scoperta di una zona desolata del paese, durante una fermata non prevista del bus, squarcia la regolarità, con una regolarità più grande. In quel posto improvvisamente scoperto da Néstor A. Fabris tutto sembra concentrarsi nella ripetizione di un unico gesto che, maniacalmente, con assoluta regolarità e precisione, viene moltiplicato da decine di uomini: sono i fantasmi della dittatura. È l’inferno.

Nell’inferno del ricordo Cosa muta, allora, nel suo sguardo? A mutare sono i punti da cui si osservano realtà che, sottilmente, in silenzio, stratificano. Come stratificate appaiono le molte, mai troppe vite di Alejandro Bevilacqua. Forse perché l’unicità, la ripetizione dell’identico, la ricerca di nessi tra causa e effetto magari probabili, ma in fin dei conti inutili, è ciò da cui più di tutto ci invita a distogliere lo sguardo il detective-Manguel. Se il giornalista di Tutti gli uomini sono bugiardi ascolta più di un testimone, dunque, è forse per farsi confondere ancora di più le idee, per evitare che alla vita (e alla morte) di Bevilacqua si applichi quella reductio ad unum che, nel Ritorno, coincide con una presenza ahinoi più che reale, dell’inferno in terra. Si può anche non amareManguel,ma questo non ci salverà comunque dall’inferno del ricordo e dai paradisi della menzogna.

Il manifesto  2 novembre 2010
© Marco  Dotti

bibliografia
 Il ritorno  , 2010, Nottetempo,
Tutti gli uomini sono bugiardi, 2010, Feltrinelli,     
L'amante puntiglioso, 2009, Nottetempo
Il libro degli elogi, 2009, Archinto
Una storia della lettura, 2009, Feltrinelli
Al tavolo del Cappellaio matto, 2008, Archinto
La biblioteca di notte, 2007, Archinto
Omero. Iliade e Odissea. Una biografia2007, Newton Compton
Stevenson sotto le palme, 2007, Nottetempo
Diario di un lettore, 2006, Archinto
Il computer di sant'Agostino e altri saggi, 2005, Archinto
Con Borges Contenuto, 2005, Adelphi
Nato nel 1948 a Buenos Aires, Alberto Manguel ha trascorso l'infanzia a Tel Aviv dove il padre era ambasciatore presso lo Stato d'Israele. Le prime lingue usate sono state l'inglese e il tedesco (parlato con la governante) e solo al ritorno in Argentina, a sette anni, ha cominciato a parlare spagnolo. Giovanissimo ha lavorato come commesso in libreria e qui ha incontrato Jorge Luis Borges, di cui è diventato il lettore tra il 1964 e il 1968. Nel frattempo ha completato gli studi e nel ’68 ha lasciato l'Argentina e si è spostato in vari paesi europei (Francia, Inghilterra, Italia), poi a Tahiti, quindi a Toronto, dove ha vissuto vent'anni, prendendo anche la nazionalità canadese, e infine nella regione del Poitou in Francia. È autore di moltissimi libri: tra quelli tradotti in italiano, «Una storia della lettura» (Mondadori 1997), «Il computer di Sant'Agostino» (Archinto 2005), «Con Borges» (Adelphi 2005), «Omero: Iliade e Odissea. Una biografia» (Newton Compton 2007).

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