domenica 6 febbraio 2011

Bolaño postumo, le tracce di una grandezza

  Kilgore magazine -

6 febbraio 2911

Bolaño postumo, le tracce di una grandezza

Per chi ancora oggi piange la prematura scomparsa di Roberto Bolaño, l'uscita di un nuovo romanzo postumo dopo l'incommensurabile 2666 è di per sé un evento da festeggiare. Anche perché il vero e proprio boom dello scrittore cileno negli ultimi anni - partito dagli Stati Uniti dove peraltro ne hanno fatto un'improbabile icona di ribellismo giovanilista molto limitativa, oltre che filologicamente scorretta, rispetto alla sua reale grandezza letteraria - ha creato una vera e propria generazione di cultori che attendevano con ansia la pubblicazione de Il Terzo Reich, di cui la stampa parlava ormai da molto tempo. Il libro, edito in Italia da Adelphi, è notevole, e la mano di Bolaño sempre ispirata. Si tratta comunque di un romanzo scritto nel 1989, ossia ancora nove anni prima del grande capolavoro pubblicato in vita, I detective selvaggi, e che mostra in alcune pagine l'ancora non completata metamorfosi dell'oscuro poeta infrarealista nel meraviglioso e magnetico narratore universale capace di raccontare come pochi altri l'orlo dell'abisso. Eppure, seppur talvolta acerbo, Il Terzo Reich è un romanzo bolañiano in tutti i sensi, con alcuni personaggi molto ben riusciti, e alcune frasi che fanno già intravedere l'imminente grandezza. Si può leggere, per esempio, a pagina 29: "Come animali degli abissi, i pattìni formavano un'isola nera in mezzo alla penombra uniforme che copriva la spiaggia. Seduto su un galleggiante di uno di quegli strani veicoli, con la camicia sbottonata e i capelli spettinati, Charly ci stava aspettando". Bellissimo, anche senza contestualizzazione.

Come Raymond Carver (e viene in mente il memorabile verso finale della poesia Bevendo e guidando: "Mio fratello mi dà di gomito. Tra un minuto, chissà, accadrà qualcosa") anche Bolaño è un maestro nel creare un clima di tensione intorno a eventi che, in buona parte, agli occhi di tutti noi apparirebbero come normali: una vacanza in Costa Brava, l'amicizia con degli sfaccendati spagnoli, l'incontro con la matura e affascinante proprietaria dell'hotel, la spiaggia vuota di notte o durante un temporale estivo. E invece fin dall'inizio, forse anche per via dell'ottica sempre vagamente allucinata del narratore - Udo Berger, appassionato di wargame, da cui il titolo che è il nome di uno di questi giochi, ma ovviamente in Bolaño non può che essere anche un intero universo - il romanzo scivola lungo un confine che la nostra mente di lettori percepisce segnalato da cartelli luminosi che riportano la parola "Pericolo". La tragedia arriverà, forse, ma in fondo questo non è il punto, a ben guardare non lo è mai.

Quello che accomuna Il Terzo Reich e i più grandi romanzi successivi di Bolaño è l'acutezza con cui sfrutta le sue epifanie ("Che stupidaggine morire in vacanza, ho commentato") e l'intuizione che una certa "maniera", sia detto in tono assolutamente lusinghiero, è necessaria per fondare una mitologia. Nella storia di Udo, Ingeborg, Hanna e Frau Else (personaggio affascinante la signora, ma quando appare lei la scrittura di Bolaño perde qualcosa) la mano del gran cileno arriva a momenti visionari, intervallati però da qualche debolezza. Sono comunque i segnali di un autore che si stava formando, che aveva visto la strada da percorrere e che, con il suo grandissimo talento, provava a battere un sentiero diverso, che di lì a pochi anni lo avrebbe consacrato tra i più grandi narratori del XXI secolo.

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