sabato 18 giugno 2011

Roberto Bolaño

Marco Braggion-

"La lettura è piacere e gioia di essere vivo o tristezza di essere vivo e soprattutto è conoscenza e domande. La scrittura, invece, di solito è vuoto".

Difficile mettersi a scrivere qualcosa di nuovo o di non già stato pensato su Bolaño. Per queste battute ho deciso di selezionare poche cose ripensate in tempi e luoghi altri dalla scrivania-con-laptop su cui di solito mi metto a lavorare: qualche sguardo per strada, qualche frase letta su altri testi, sugli stessi suoi, sui gialli che non ha mai scritto. Memo appuntati di fretta dunque, arrivando fuori tempo massimo, data l’immane mole di avvenimenti, uscite, libri, critiche, apprezzamenti che in questi anni hanno decretato quella che molti, compreso l’Economist, hanno bollato come bolañomania. Poche parole, pochi spunti che cercano di riassumere un classico degli Anni Zero: fuoriposto, postmoderno, epico, massimalista, David Foster Wallace, Radiohead, David Lynch.
Bolaño è fuoriposto perché con la sua produzione riattiva - criticandola - la tradizione letteraria sudamericana. Quando la mania di Marquez, Cortázar, Borges, Allende e soci sembrava essere stata sepolta negli archivi della moda letteraria, che a ondate insabbia od esalta correnti e intere biblioteche di autori troppe volte definiti come ‘essenziali’, viene fuori lui, lentamente, senza pubblicità, e solo grazie al suo valore poetico. Bolaño ci narra in modo nuovo quel mondo magico e oscuro che è il Sudamerica. Il suo non è però il sogno magico di Cent’anni di solitudine. La sua patria virtuale (il Messico) è fatto di delitti atroci, assassinî, gente losca, personaggi poco raccomandabili che vivono in un mondo decaduto e supercontemporaneo, così lontano e così vicino a tutti noi. Frequentandolo ci si sente attraversare le vene dal vento caldo del deserto.
Il critico del quotidiano spagnolo El Pais Ignacio Echevarría (che ha da poco curato il libro di saggi e riflessioni Tra parentesi, edito da Adelphi nel 2009) ha definito bene la sensazione che si ha leggendo i libri del cileno:
“il suo stile di scrittura non è nè realismo magico, nè barocco o localista. Bensì è uno specchio immaginario ed extraterritoriale dell’America Latina: più uno stato mentale che un posto specifico”. 
I due romanzi capolavori/bomba/culto (I detective selvaggi, edito da Sellerio nel 2003 e 2666, edito da Adelphi nel 2007-8) sono intrisi di postmodernità, perché mescolano registri barocchi a liste di morti, giornalismo e storia locale, poesia e pathos, poeti e professionalità scomparse, sogni e realtà in un caleidoscopio che va oltre ogni canone e che rifiuta il tempo, come se l’autore fosse stato consapevole di essere un classico, come se del futuro non gli fosse importato poi così tanto, data la sua statura imperitura, guadagnata a ritmi forsennati di pubblicazione (i suoi dieci romanzi e tre raccolte di racconti sono infatti usciti nell’arco di un solo decennio). In un’intervista ha dichiarato:
“io sono lo scrittore latinoamericano con meno futuro. [...] sono uno di quelli che hanno più passato, che alla fine è l'unica cosa che conta”.
Quello che conta invece nella vita girovaga di Bolaño sono pochi ma fondamentali eventi, che meritano di essere ricordati: nasce in Cile nel 1953, ma si trasferisce nel ‘68 con la famiglia a Città del Messico, dove inizia ad abitare le biblioteche. Cinque anni dopo torna in patria per combattere la dittatura di Pinochet, che aveva appena effettuato il colpo di stato. Qui viene arrestato come spia e sconta la pena otto giorni in carcere, dopo che due suoi amici poliziotti lo liberano. Negli anni Settanta diventa trotzkista e fonda insieme ad alcuni amici e poeti (tra cui Mario Santiago) il movimento d’avanguardia infrarealista che sarà all’origine del suo capolavoro I detective selvaggi, un diario delle scorribande di giovani poeti sudamericani in cerca della fondatrice della loro stessa avanguardia, la poetessa Cesárea Tinajero. L’estetica del gruppo letterario va contro la letteratura ufficiale, utilizzando accenni di surrealismo francese mixati ad elementi dada. Per tutta la sua vita è un’instancabile girovago, finché nel 1977 non sbarca in Europa. Cerca di sopravvivere facendo di tutto, dal lavapiatti al cameriere, dallo spazzino al portiere di notte. Vive per un po’ a Barcellona, ma stanco della metropoli si insedia a Blanes, una città di mare sulla costa brava di Girona.  Qui continuerà a scrivere poesia, ma distrutto dall’eroina (anche se la moglie e il suo amico Enrique Vila-Matas non hanno mai confermato la dipendenza) e dalla povertà, inizia a scrivere romanzi per sopravvivere e per dar da mangiare ai suoi due figli. Il suo 2666 nasce proprio qui, un libro ‘monstre’ di circa mille pagine che contiene tra le altre cose una denuncia contro lo stato di abbandono dell’America latina, territorio offeso da centinaia di delitti irrisolti (i famosi delitti di Ciudad Juárez), ma nel contempo pieno di poesia. Morirà a causa di un tumore al fegato, quando il suo successo sta scaldando i cuori di migliaia di appassionati. Prima di essere scrittore, Bolano è un personaggio. In questo assomiglia ad altre due icone morte prematuramente: David Foster Wallace e su altri lidi Kurt Kobain. Le sue foto con la sigaretta, i suoi occhiali rotondi e sproporzionati, la sua faccia così espressiva e il suo sguardo intenso creano un mito. Un maudit postmoderno che riporta l’epica come strumento narrativo cardine, avvicinando l’iper-realtà al mito. Come se fosse una superstar rock dei Duemila (vedi alla voce Radiohead) Bolaño passa in rassegna mondi incancreniti di realtà cruda e senza speranza di cambiamento: nel lungo capitolo di 2666, La parte dei delitti, ci allieta con visioni e cut-up del miglior Lynch (un film su tutti "Mulholland Drive"), definendo con uno stile a tratti asciutto, a tratti passionale, la realtà del suo e del nostro contemporaneo: spezzettata, complessa, paranoica e perché no, anche allegra. Per approfondire è ovviamente obbligatorio partire dalle sue opere, ma uno dei luoghi virtuali in cui si possono trovare una miriade di informazioni (peraltro sempre aggiornate) è il sito italiano www.archiviobolano.it. Dateci un’occhiata...

Nota del Blog:
La notizia che Bolano fosse tossicodipendente è totalmente falsa.

vedasi l'articolo Bolano falsificato
In realtà non aveva un tumore al fegato ma una malattia a lle vie biliari che
gli fu diagnosticata nel 1992.

mangialibri   ---- - - -

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